Finalmente ci siamo! E’ una timida giornata di appena primavera. Visitare il Carso Goriziano e i suoi produttori è sempre bello e stimolante. Questa volta andiamo alla scoperta della Ribolla Gialla di Oslavia. Sono 7 i produttori di cui potremmo parlare: Silvan e Marco Primosic, Dario Princic, Stanko Radikon, Nicolò Bensa de La Castellada, Rinaldo Fiegl, Josko e Mateja Gravner e Franco Sosol de Il Carpino. Perchè la Ribolla Gialla di Oslavia è fatta anche di volti e di mani, non solo di uva. Uno di questi produttori ha intrapreso un percorso suo, un’esperienza che si scosta dalla tradizione carsica e punta alle influenze caucasiche. Questo produttore è Josko Gravner che, coaudiuvato dalla famiglia, cerca in questa sua personale interpretazione di distinguersi e dare una diversa identità al suo prodotto.
Per la vinificazione e la fermentazione dei suoi mosti, la famiglia Gravner, utilizza (dal 2001) anfore georgiane da 1500/2000 litri, fatte a mano e ricoperte di cera d’api all’interno. Queste costosissime anfore, rispetto a quelle europee più piccole e più spesse, vengono prodotte in Georgia, hanno uno spessore di argilla di circa 3 centimetri e necessitano di particolari forni per essere messe a punto.
“Dalla fine degli anni ottanta lavoriamo naturalmente, non siamo biologici e non siamo certificati. Siamo contadini che, nel tempo, si sono costruiti una certa credibilità. Da due anni stiamo sperimentando metodologie biodinamiche e utilizziamo solo rame, zolfo, propoli e il fungo glomus. Così facendo è stato ridotto del 40% l’uso del rame e dello zolfo.”
In questo modo Mateja Gravner, figlia di Josko, descrive il loro lavoro in vigna. Un profondo senso di responsabilità anima il loro operato.

” Quando conosci il tuo vigneto sai prevenirne i problemi… La nostra vendemmia comincia in ottobre e se siamo fortunati con un pò di botrite. Sappiamo di cosa abbiamo bisogno: ci serve l’equilibrio… Le uve devono essere mature e sane. Solo così possiamo permetterci di non dover modificare l’uva, senza aggiungere altro! Usiamo solforosa solo nelle prime due anfore le quali ci offrono la garanzia del prodotto e la tranquillità economica. I Vini rossi, una volta svinati (a fermentazione alcolica ultimata), completano la fermentazione malolattica nelle botti di legno, mentre i bianchi rimangono in anfora e completano lì questa seconda fase. Le lunghe macerazioni ci servono per dare vita a vini unici… In tutto abbiamo interrato 46 anfore con una capienza che va dai 1300 ai 2400 litri cadauna. La nostra cantina è costruita senza cemento armato e sopra le anfore in perfetta continuità con i terreni delle vigne (non ha fondamenta!)”
Sono apparentemente poche e semplici le operazioni che vengono svolte in vigna e in cantina dalla famiglia Gravner, frutto di anni di esperienza, passione e sacrificio. A fermentazioni completate il vino viene estratto dalle anfore per mezzo di una pompa, le bucce pressate e il restante unito a quello precedente nelle botti dove decanta e affina. Il racconto di Mateja Gravner continua toccando i momenti cruciali della storia carsica, nonchè italo-europea.

” Questa cantina in tempo di prima guerra mondiale è stata allestita a ospedale di primo soccorso per le vittime. In seguito, fino al 1932, è diventata un’osteria (nonna). Il nonno poi non ha aderito al fascio e si rifiutava di parlare italiano (obbligo del ventennio fascista). L’osteria venne così chiusa dalla gendarmeria fascista (che ne sequestrò la licenza) e trasferita in città, a Gorizia. Nel frattempo Josko cresce, studia enologia e una volta ultimata la scuola entra in azienda (1973 prima produzione) e cambia il modo di produzione del padre. Fu una svolta industrial-moderna ma nel 1982 (annata buona) si ferma e ricomincia la presa di coscienza della natura. Da questo momento in poi torna a produrre qualità e sposa la moda di quei tempi: la barrique. Fu poi un viaggio in California a fargli cambiare idea nuovamente… assaggia un Sauvignon con aromi aggiunti e, sconsolato, dichiarò: <<Questo è un drink!>>. Rientrato in patria, un’anno più tardi assaggiò un vino friulano nel quale riconosce quegli stessi sapori chimici che aveva provato in California. Prende il via una presa di coscienza profonda e una riflessione taciturna che ha dato vita al Josko di oggi. Ecco che negli anni novanta tornano di moda i vitigni autoctoni e nel 1992 la ribolla gialla diventa DOC. Fu Stanko Radikon a battere la strada e a riportare in luce gli antichi metodi di produzione. Quando, mio padre Josko, nel 1997 prova la ribolla senza solfiti aggiunti e macerata ha riscoperto il vero gusto della ribolla… Da quel momento è stata portata quella tecnica di produzione su tutte le uve. I solfiti vengono aggiunti prima dell’affinamento in legno e talvolta in fase di travasi (pulizia con zolfo delle botti) e l’imbottigliamento avviene sempre in settembre.”
E’ con queste parole che Mateja, passeggiando tra le sue botti e anfore ci racconta la sua vita e quella delle sue bottiglie. Un approccio umano che punta al rispetto della natura e del lavoro. Un modus vivendi che trascende il concetto del vino in senso stretto e cerca motivazioni nel segreto, nel non-detto e nel silenzio.
” Da qualche anno abbiamo introdotto dei nidi artificiali nei vigneti i quali ci hanno permesso di ripristinare la vita naturale della vigna. Serve avere pazienza e serve capire che le annate sono tutte diverse ma soprattutto che non sono state fatte per noi umani. Sta a noi rapportarsi con loro e saperne cogliere la loro essenza ricordandoci che il prodotto principale dell’uva è l’aceto, non il vino. Già i romani l’avevano capito!”
Nei bicchieri di Massimo Lunardon abbiamo assaggiato:
- Bianco BREG (chardonnay, sauvignon e riesling italico)
- Ribolla 2008 (ribolla gialla)
- Rosso BREG 2004 (pignolo)
Bibliografia aggiuntiva:
- S. Caffarri e A. Barsanti, Gravner, Cucchiaio d’argento
- G. Bolzoni, Ribolla Gialla Oslavia THE BOOK, Veronelli Edizioni
Mangiare e Bere in zona:
- Lokanda Devetak, San Michele del Carso
- RosenBar, Gorizia